Sono solo parole? Niente affatto. I discorsi carichi di odio scavano ferite profonde

Giuseppe Antonelli spiega agli studenti della VA Liceo Classico come la lingua dell’odio è a tutti gli effetti una forma di violenza

 

 

Sono solo parole? Niente affatto.

I discorsi carichi di odio scavano ferite profonde

 

Giuseppe Antonelli  spiega  come   la lingua dell’odio è a tutti gli effetti una forma di violenza 

Altro che pietre! Le parole possono essere macigni che gravano sull’anima, soprattutto se dettate da derisione, disprezzo e odio.

Questo è quanto è emerso martedì  08 ottobre 2024 durante l’incontro in streaming tra il prof. Giuseppe Antonelli, ordinario di Storia della lingua Italiana presso l’Università degli Studi di Pavia,  e gli studenti della V A del Liceo Classico di Trebisacce .

Il dibattito, organizzato dalla Fondazione del Corriere delle Sera sul temaLe parole sono pietre. Riconoscere e contrastare la lingua dell’odio”,  ha offerto agli studenti una valida occasione di riflessione  su come il linguaggio possa diventare uno strumento di discriminazione e violenza.

Una preziosa testimonianza, a questo proposito, è stata proposta dall’intervento della senatrice  Liliana Segre che, sopravvissuta all’Olocausto e da sempre impegnata nella difesa dei diritti umani, ha condiviso con gli studenti la sua esperienza personale, sottolineando l’importanza di non sottovalutare il potere distruttivo delle parole quando utilizzate per ferire e discriminare.

Il  prof. Antonelli, linguista e pubblicista, noto al grande pubblico soprattutto per i suoi editoriali sulla carta stampata, ha rimarcato gli effetti deleteri  dell’uso distorto delle parole.

Alla radice dei linguaggi di odio, di violenza, di discriminazione e di blasfemia, che ogni giorno imperversano negli ambienti reali e virtuali, secondo Antonelli, si concretizza l’abuso, il non-uso e la profanazione di un’arma così fragile ma, al contempo, così alta e potente come la parola.

Già Gorgia, il sistematizzatore più maturo della retorica sofistica, aveva compreso che questa realtà minima e inconsistente, già consumata nel momento stesso del suo uso,  potesse trasformarsi in una potente dominatrice capace di ispirare  sentimenti, mutare paradigmi e opinioni e spingere l’uomo verso i più nobili o i più vili fini dell’essere.

La parola, dunque, è in sé vox media che implica salvezza e perdizione, gioia e dolore, vita o morte. Essa ha due nemici da evitare: il troppo ed il troppo poco.

Nella nostra società, infatti, con tale arma a doppio taglio, si corre il rischio di blaterare senza cognizione di quel che si dice, offendendo ed infangando la reputazione altrui; oppure, si tace per non testimoniare quei valori che nessuno più segue e che tutti si affrettano a ripudiare.

La parola per  Antonelli è realtà liberante, ma, anche, schiavizzante; realtà, insomma, che deve essere pesata e ponderata con il massimo della discrezione e della sensibilità.

Quando, invece, diventa mezzo di divisione, luogo di scontro e veicolo di ingiuria, si perde non il suo significato ma il suo intimo valore.

In realtà se  nessuno –  neanche i giovani –  è capace di serbare e custodire la parola, la cagione è la sua mercificazione. Non di rado, infatti, la parola è resa schiava delle mentalità distruttrici della nostra società e ha perso, a causa di parlanti non certo prudenti e, molte volte, anche insipienti, il suo valore e la sua importanza.

E come se oggi si preferissero quelli che i Romani chiamavano verba obvia:  termini appartenenti ad una bassa area semantica; quelli di tutti i giorni che si perdono nei solchi polverosi di una non certo alta quotidianità, per affossarsi nella prevedibilità e, spesso, nella dozzinalità del linguaggio digitale, dove ogni struttura logica e grammaticale viene scardinata.

La lingua abusata ed il pensiero calpestato dei parlanti sono simbolo della caratura morale di un popolo che, ahinoi, manca, evidentemente, di profondità intellettuale.

Ecco, allora,  che  Antonelli, con un rigoroso approccio scientifico, ha indagato le cause sociali  dell’odio verbale che imperversa,  individuandone alcune possibili  soluzioni.

Una di queste, ad avviso dello studioso, sarebbe una più corretta educazione linguistica a partire dalle famiglie e dalle scuole. È soprattutto all’interno di questi contesti che si può apprendere l’uso adeguato delle parole, civilmente responsabile e umanamente rispettoso.

La  parola deve ritrovare il suo valore più profondo di fenomeno che investe completamente l’essere umano, caratterizzandolo e distinguendolo da ogni altra cosa (non è un caso che Aristotele definiva l’uomo come unica realtà capace di articolare e pronunciare parole).

Alla lingua dell’odio, insomma, è necessario contrapporre una narrazione diversa , consapevoli che la desublimazione del linguaggio nelle sue forme più svariate e, in maniera più grave, nel suo abuso che veicola l’odio, è sostanzialmente un atto di vilipendio dell’uomo e della sua umanità. 

 

F.M.M.

Classe VA Liceo Classico